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venerdì 19 giugno 2009

Denis

L'amore di Denis per Mattia si era consumato da solo, come una candela dimenticata accesa in una stanza vuota, e aveva lasciato il posto ad un'insoddisfazione famelica. A diciannove anni, nell'ultima pagina di un giornale della zona, Denis aveva trovato la pubblicità di un locale gay, l'aveva strappata e aveva conservato il brandello di carta nel portafoglio, per due mesi interi. Di tanto in tanto lo srotolava e rileggeva l'indirizzo che conosceva già a memoria. Intorno a lui, i suoi coetanei uscivano con le ragazze e si erano ormai abituati al sesso, al punto di smettere di parlarne in continuazione. Denis sentiva che la sua unica via di scampo era in quel pezzo di giornale, in quell'indirizzo che il sudore dei polpastrelli aveva sbiadito leggermente. Una sera che pioveva c'era andato, senza neppure deciderlo sul serio. Semplicemente si era vestito con le prime cose pescate dall'armadio ed era uscito, dando un urlo ai suoi nell'altra stanza. Me ne vado al cinema, aveva detto. Era passato due o tre volte di fronte al locale, ogni volta facendo il giro completo dell'isolato. Poi era entrato, con le mani in tasca e rivolgendo un cenno confidenziale ai buttafuori. Si era seduto al bancone, aveva ordinato una birra chiara e l'aveva sorseggiata piano, continuando a fissare le bottiglie in fila contro la parete, aspettando. Un tizio si era avvicinato dopo non molto e Denis aveva deciso che ci sarebbe andato, ancora prima di guardarlo bene in faccia. Quello si era messo a parlare di sè, o forse di qualche film che Denis non aveva visto. Gli gridava nell'orecchio e lui non ascoltava una parola. L'aveva interrotto bruscamente dicendo andiamo in bagno. L'altro era ammutolito e poi aveva sorriso con dei brutti denti. Denis aveva pensato che era orribile, che aveva le sopracciglia quasi attaccate ed era vecchio, troppo vecchio, ma non importava. Dentro il bagno il tizio gli aveva sollevato la maglietta sulla pancia e si era piegato in avanti per baciarlo, ma Denis l'aveva scansato. Si era inginocchiato e gli aveva sbottonato i pantaloni. L'altro aveva detto accidenti quanto corri, ma poi l'aveva lasciato fare. Denis aveva chiuso gli occhi e poi aveva cercato di finire in fretta. Con la bocca non aveva ottenuto nulla e si era sentito un imbrananato. Allora aveva usato le mani, tutte e due, con insistenza. Mentre quello veniva era venuto anche lui, dentro i vestiti. Era uscito dal bagno quasi di corsa, senza lasciare allo sconosciuto il tempo di rivestirsi. Il senso di colpa, lo stesso di sempre, l'aveva atteso appena dietro la porta del cesso e l'aveva investito come una secchiata d'acqua gelida. Fuori dal locale aveva vagato per mezz'ora alla ricerca di una fontana, per levarsi di dosso quell'odore. C'era tornato altre volte, nel locale. Ogni sera parlava con uno diverso e trovava sempre una scusa per non dire il proprio nome. Non era più andato con nessuno. Collezionava le storie di altri come lui, per lo più stava zitto e ascoltava. Lentamente aveva scoperto che le storie erano simili, che c'era un percorso comune da seguire e che il percorso prevedeva di immergersi, di andare sotto con tutta la testa fino a toccare il fondo e solo dopo di tornare su, a riprendere aria. Ognuna di quelle persone aveva un amore marcito da solo nel cuore, come il suo per Mattia. Ognuno aveva avuto paura e molti ne avevano ancora, ma non quando erano lì, in mezzo ad altri che potevano capire, protetti dall'ambiente, come dicevano loro. Parlando con quegli sconosciuti Denis si sentiva meno solo e si domandava quando sarebbe arrivato il suo momento, il giorno in cui avrebbe toccato il fondo e quello in cui avrebbe finalmente tirato il fiato. Una sera qualcuno gli aveva parlato dei lumini. Nell'ambiente avevano chiamato così la stradina dietro al cimitero monumentale, dove le uniche luci che arrivavano, fioche e tremolanti, erano quelle delle lapidi, che filtravano tra le sbarre del grande cancello del cimitero. Li si andava a tentoni, era il posto adatto per svuotarsi del desiderio come di un peso, senza vedere o farsi vedere, solamente mettendo il proprio corpo a disposizione del buio. Era stato ai lumini che Denis aveva toccato il suo fondo, c'aveva sbattuto contro con faccia, petto e ginocchia, come in un tuffo nell'acqua troppo bassa. Dopo quella volta non era più tornato al locale e si era rinchiuso, più ostinato di prima, nella propria negazione. Poi, al terzo anno di università, era andato a studiare in Spagna. lì, lontano dagli occhi appiccicosi della sua famiglia e dei suoi amici e da tutte le strade di cui conosceva i nomi, l'amore lo aveva trovato. Si chiamava Valerio ed era italiano come lui. i mesi trascorsi insieme, in un piccolo appartamento a pochi isolati dalla Rambla, erano stati veloci e intensi e si erano portati via tutta quell'inutile cappa di sofferenza, come la prima serata limpida dopo giorni di pioggia battente. (da La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano)

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