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venerdì 30 dicembre 2011

Sposati e di mezza età

Nei discorsi tra me e L., sull'amore che viviamo, su ciò che abbiamo vissuto quest'anno, sul rapporto che viviamo, escono sempre, come conti da pagare, i richiami alla realtà quotidiana, al convivere con i nostri "armadi", i nostri vissuti, la nostra mezza età, entrambi più che quarantenni (patetici, no? uomini maturi a incontrarsi e raccontarsi ancora su blogger...)
Tra quei discorsi, ogni tanto ne esce la storia di un conoscente di L., un uomo ormai sulla sessantina, sposato e con un figlio adulto, che gli confidava il suo disagio ad una vita affettiva che non gli appartiene.
Penso a lui, ma anche ai tanti uomini sposati che devono fare i conti con un armadio ancora più blindato, con fatiche e sensi di colpa, e pulsioni difficili da gestire, paura di buttar via un matrimonio al quale, spesso, avevano realmente creduto.
Com'è la vita di queste persone? Quali prospettive? Quale disincanto? Quanta frustrazione?
L'uomo stava bevendo la sua birra, fissando il bar dritto davanti a sé. Aveva un'aria forte; le sue gambe, fasciate da jeans e stivali, si muovevano lievemente al ritmo della musica. Owen bevve una sorsata del suo drink, pregando che il gin gli desse sicurezza. Ben presto si sentì più coraggioso. Si girò, guardò l'uomo, che si girò a sua volta e guardò lui. Fecero un lieve cenno del capo e dissero, nello stesso momento: «Come va?».
«Bene» dissero di nuovo, nello stesso momento, e risero. Allora l'uomo si girò di nuovo a guardare il bar. Le sue gambe si muovevano a suon di musica. La sua testa si muoveva a suon di musica. Bevve una sorsata dalla bottiglia di birra.
Owen, disperato, si guardò i piedi, guardò il pavimento. Ma prima di avere la possibilità di prendere una decisione sul da farsi, l'uomo si girò verso di lui, mostrando la bottiglia di birra vuota e disse: «Posso prenderti qualcosa al bar?».
«Uh, certo» disse Owen.
«Un gin tonic?»
«D'accordo» disse l'uomo.
«Oh, lascia che ti dia dei soldi.»
«No, no» disse l'uomo. «Questo giro è mio.»
Poi si allontanò. Dopo qualche sudato minuto tornò, portando un altra birra e un gin tonic per Owen. «Io sono Frank» disse.
«Owen» disse Owen.
Si strinsero la mano. La mano di Frank era enorme, avvolgente, morbida.
«Vieni spesso qui?» disse Frank.
«Non proprio» disse Owen.
«Neanch'io» disse Frank. «Delle volte lavoro nei paraggi, allora ci faccio un salto.»
«Cosa fai?» chiese Owen.
«L'impresario edile» disse Frank, e scosse la testa al ritmo della musica. Anche Owen scosse la testa. Lo fecero insieme. Frank rise. Poi si girò di nuovo, a guardare il bar. Per qualche altro minuto rimasero a guardare il vuoto.
«Questo bar un tempo aveva un altro nome» disse Owen.
«Ah sì?»
«Sì, si chiamava Sugar Magnolia.»
«Oh.» Frank si girò, e guardò Owen dritto negli occhi.
«Sposato?» chiese, con gli occhi fissi sull'anello di Owen.
«Sì» disse Owen.
«L'avevo immaginato.» Frank distolse lo sguardo. «Anch'io» disse.
«Veramente?»
«Uh, uh. E dura, sai?»
«Lo so.»
Dall'altra parte del bar i ragazzi che facevano le giravolte erano scomparsi. «Sono buone azioni stabili, maledizione» disse uno degli agenti di cambio. Owen chiuse gli occhi. Poi li riaprì di nuovo.
«Mia moglie» disse Frank, giocherellando con la catena intorno al collo. «Be', lei è proprio semplice. Buona educazione catlolica. Ci siamo sposati quando avevamo diciotto anni. E lei, lei vuole solo occuparsi dei bambini e andare in chiesa. Non vuole fastidi, capisci?»
«Abitate in città?» chiese Owen.
«Staten Island» disse Frank. «Ma ho la casa di un amico per stanotte.» Guardò Owen.
Adesso Owen era confuso. Era sposato anche il suo amico? C'era forse una specie di fratellanza di uomini gay sposati nel mondo, che si prestavano a vicenda i loro appartamenti, e si trovavano tra loro nei bar? Incominciò a temere per un momento che Frank volesse soltanto far due chiacchiere con lui, essere amico suo. Forse vigeva la regola di dormire soltanto con gli uomini più giovani.
«L'altra notte» disse Frank «sono entrati dei ragazzi. Uno di loro si è messo a gridare a perdifiato: "Papà! Che ci fai tu qui?".»
Frank rise. «Avresti dovuto vederli questi qui come hanno fatto cadere i bicchieri... così.» Schioccò le dita.
«Dev'essere stato buffo» disse Owen, e Frank annuì. Sembrava irrequieto. Continuava a spostare il peso da un piede all'altro come un adolescente, incapace di star fermo. Alla fine si girò e la sua faccia piombò accanto a quella di Owen in modo che egli riuscì a vedere i peli della barba, e a sentire l'odore di birra nel suo fiato. «Senti» gli disse. «Sei un tipo simpatico o no? Perché quello di cui ho bisogno, adesso come adesso, è un tipo simpatico, qualcuno che sa quel che si fa, non un coglione. Voglio dire, ci sono un sacco di coglioni in giro, capisci cosa intendo?»
«Sì, lo capisco» disse Owen. «Ne ho bisogno anch'io.»
«Voglio un uomo» disse Frank. «Capisci cosa intendo? Quando ti ho visto dall'altra parte del bar, ho pensato... ehi, c'è un tipo che sembra... diverso. Sensibile.»
Owen era abbacinato. «Sì» disse. «Sii.»
Frank abbassò gli occhi a terra, si avvicinò, in modo che le loro cosce si toccarono. «Allora, come ho detto prima, ho questo posto per stanotte. Vuoi venirci con me? Voglio dire, potrebbe essere davvero carino. Sai, come in quella canzone: "Abbiamo stanotte, che importa domani?".» Sorrise.
Owen sorrise a sua volta. «Non la conosco quella canzone» disse Owen. «Ma afferro senz'altro l'idea.»
«Vado un attimo a prendere il cappotto in guardaroba» disse Frank e si allontanò. Owen si appoggiò al muro, respirando normalmente. Era sorprendentemente rilassato. Non aveva la sensazione che stava per fare qualcosa fuori dell'ordinario. Sapeva solo che moriva dalla voglia che Frank tornasse dal guardaroba il più presto possibile e, quando lo fece, Owen si accorse che anche Frank aveva fretta. Il posto che aveva per la notte era un appartamento nella Novantesima Est, gli disse. Owen annuì.
Si mise il cappotto, e uscirono insieme dal bar, sulla pubblica via piena di gente che Owen avrebbe potuto conoscere. Frank fermò un taxi. Durante il tragitto, nel taxi, tenne la mano di Owen.
Era un piccolo appartamento in una casa senza ascensore, arredato con semplicità, come la stanza di un motel. Appena arrivati, Frank accese il lampadario centrale, e Owen si tolse il cappotto nella luce brillante. Fuori del bar buio, Frank risultò avere la faccia un po' butterata, un po' di pancetta, e qualcosa di vagamente sporco nei vestiti e nei capelli, e all'improvviso l'aspettativa da sogno di questo momento, alimentata nel bar, lasciò posto a qualcosa di diverso: due uomini di mezza età, entrambi sposati, entrambi un po' giù di forma, si incontravano per fare l'amore, per toccarsi a vicenda e farsi star meglio a vicenda. Una prospettiva per niente sgradevole. Inoltre, Owen aveva fatto il pieno di fantasia. Adesso voleva qualcosa di reale.
Tuttavia, quando Frank abbracciò Owen e lo baciò, Owen fu sopraffatto.
Caddero sul pavimento e fecero l'amore, e come tanti altri uomini che facevano l'amore quella sera, furono attenti e rispettosi delle regole. Non fecero quello che forse avrebbero voluto fare. A un certo punto Frank tolse piano piano un preservativo dal suo involucro di plastica, gettò il pacchetto stracciato dall'altra parte della stanza, e se lo infilò. Parve la cosa più naturale del mondo.
Dopo che ebbero finito, Owen, puntellandosi sui gomiti, si mise a sedere sul letto. «Devo tornare a casa» disse. «Rose probabilmente sta impazzendo di preoccupazione.»
Frank giaceva sdraiato sul letto, con le mani dietro la nuca, e Owen fu improvvisamente sconcertato dai due ciuffi di peli neri sotto le sue braccia. Lo fissavano apertamente, denudati, come un altro paio d'occhi.
«Cosa pensi di dirle?» chiese Frank.
Owen scosse la testa mentre si tirava su i pantaloni. Frank scese dal letto. Al tavolo di cucina scribacchiò qualcosa su un pezzo di carta che diceva: "P&R. Impresari edili. Frank J. Picone, Presidente". «Ecco il mio numero d'ufficio» disse. «Mi telefoni?»
«D'accordo» disse Owen.
Si baciarono una volta, poi Frank lo accompagnò alla porta.
Fuori, in strada, il cielo era sorprendentemente immobile. Dei ragazzini gironzolavano sul marciapiede. Fu allora che Owen si rese conto di essere solo a due isolati dalla Harte, il che, tutt'a un tratto, gli parve buffo. Come dopo ogni cambiamento atteso tanto a lungo, non si sentiva minimamente cambiato.
(David Leavitt - La lingua perduta delle gru)

12 commenti:

  1. penso che qualche differenza la faccia la situazione particolare di ognuno come se si è in coppia anche se nascosta o si sta da soli e allora ci si fa la domanda "vale la pena rischiare tutto per l'avventura di una notte?" certo penso che dipenda tutto da cosa vogliamo e da quanto lo vogliamo anche se non sempre e facile definire questi due fattori.
    L'unica cosa certa è che il tempo passa ma a sentire notizie di gente che si sposa o divorzia a novant'anni c'è da chiedersi "ma allora è vero, nelle questioni di cuore non è mai troppo tardi".

    citazione musicale: "Luna di marmellata" di Paolo Conte.

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  2. Bella riflessione però, secondo me, la soluzione sta sempre in noi.
    Ogni scelta, che sia sul lavoro, in amore, nella vita in genere è appunto una scelta, dirai, che banalità mmmmmm......
    Noi, qui, oggi, sebbene in Italia, nel 2011, abbiamo questa grande opportunità, sempre: la scelta!
    Nella "scelta" si racchiude la LIBERTA' e la RESPONSABILITA', quest'ultima non tanto nei confronti di terzi, dello Stato o di chissà chi, ma esclusivamente nei confronti di noi stessi.
    Quando si scelgono cose importanti per noi stessi, dobbiamo farlo con ponderazione e con la testa con la razionalità, forse è poco romantico, ma ritengo sia necessario.
    Ognuno poi è libero di sbagliare, è umano no? Ed a questo punto, sempre dico sempre ce la possibilità di correggere l'errore, di trovare una soluzione.
    E' il bello di essere uomini (inteso come specie e non come genere).


    ..... 'sto libro è proprio bello devo prenderlo...


    CIAO E BUON ANNO A TUTTI!!!!

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  3. @ loran - le tue citazioni son sempre appropriate e i tuoi pensieri condivisibili. Grazie!

    @ Alberto - sicuro che è così. A me però, ciò che fa riflettere è il peso che esercitano certe tensioni su di noi e quanto e perchè diventino così vincolanti (o meglio, perchè lasciamo che lo siano, perchè ci fa fatica liberarcene, perchè a volte ci sembra impossibile liberarcene...). Credo che tutto il nocciolo stia lì, molto semplicemente. Ma visto che semplice non è perchè c'è di mezzo tutta una "vita" credo che anche questo sia appunto "il mestiere di vivere". C'è chi lo impara subito, chi col tempo, chi non lo impara mai. Ma intanto vive o sopravvive. Ci sarà un senso! Credo che si. Comunque. Si!

    Buon anno anche a te, caro!

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  4. (In)consapevole, mi ero completamente dimenticato di Owen e Frank!
    Be'... a dire il vero, ora che ci penso... di questo libro ricordo bene solo un momento, il pianto di Owen sotto la doccia... tutto il resto è avvolto nella nebbia.

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  5. "Penso a lui, ma anche ai tanti uomini sposati che devono fare i conti con un armadio ancora più blindato, con fatiche e sensi di colpa, e pulsioni difficili da gestire, paura di buttar via un matrimonio al quale, spesso, avevano realmente creduto."

    Vedi post "306 - Una storia gay?".

    :-)

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  6. @ Capricornus - uh... non mi dire... il pianto nella doccia di Owen...
    E il 306... eh, si! Direi proprio che ci sta!
    :)

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  7. La prima foto di nudo integrale ed il primo piano barbuto sono semplicemente splendide!
    Il nudo integrale è esplicito ma estremamente elegante e per nulla "sporcaccione" come direbbe mia madre.
    ADORO queste foto! Le adoro!
    Un saluto da un finocchio sposato da quasi 19 anni!

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  8. @ Sefano - Mi fa piacere che ti piacciano le foto che seleziono (perlomeno alcune). Chissà se ti sei ritrovato nel brano, nelle sensazioni di questo post, visto che ti potrebbe riguardare :)

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  9. Caro In, le "certe tensioni" di cui parli, non nascono dal nulla, il loro peso ed il loro vincolo è determinato esclusivamente da noi stessi! Non nascono dal nulla. L'omo che si sposa, o meglio che decide di vivere con chi non è del proprio sesso sta facendo una scelta e deve essere conscio che tale scelta comporterà delle privazioni "necessarie" perché decidere di vivere con una persona significa dedicarsi per tutta la vita (almeno la io la vedo così, relazioni a termine mi sanno di falso) a questa dunque bisogna ponderare bene la nostra scelta.
    Chi diversamente si scopre omo "dopo", e anche questo ammetto sia possibile, dovrà valutare quanto i "vincoli" creati durante la sua "precedente vita" siano più o meno "asfisianti" e di conseguenza dovrà decidere se continuare a vivere o "morire".
    Dubito sempre in chi afferma di essere stato "incastrato" in una situazione.
    Chi si trova "asfisiato" dalla situazione ha sempre una soluzione a disposizione, vero potrebbe costare molto, ma c'è! Se poi ciò che è stato nel frattempo costruito non è basato esclusivamente su menzogne e cattiverie, la soluzione potrebbe essere anche meno "dolorosa" di quel che può sembrare.
    Per contro, come si dice, chi ha seminato vento non può che raccogliere tempesta, per quello dico che tutto si basa sulla responsabilità..... delle proprie azioni.
    Tutti siamo liberi di vivere come vogliamo, è sacrosanto, le conseguenze però non possiamo sceglierle e spesso (almeno le più immediate) le conosciamo sin dall'inizio.
    Secondo me questo è il bello di vivere!
    Ciao In.
    Buon anno, un altro, altri mille, che bello!!!!

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  10. @ Alberto - condivido molto il tema della "responsabilità" personale, della vita che ci costruiamo da soli, del pagare le cosneguenze, etc... Ma faccio un appunto sulla tua frase "le tensioni non nascono dal nulla ma il loro peso e vincolo è determinato esclusivamente da noi stessi".
    No, su questo ho da ridire: è vero che ci sono persone che hanno più o meno le palle per reagire alla vita ma le "tensioni" sulla difficile accettazione sessuale non ce le creiamo da soli. Sin da piccolo la percezione che sei "sbagliato", i forti condizionamenti sociali, affettivi, familiari, quei genitori che sgridano o soffocano il tuo modo di essere, i bulli a scuola che ti fanno pagare di essere diverso... troppe le storie, diversissime, di chi ha motivi per non aver le palle . Certo, da adulto potrebbe dire, chissenefrega, ma chiediamoci perchè ha sviluppato questa incapacità di reazione? Cercare le colpe degli altri non ha mai senso: non mi piace il "capro espiatorio". Ma che "le tensioni nascono solo da noi stessi"... beh, no... su questo dissento.

    Non dissento invece sul fatto che anche questo tortuoso cammino sia "il bello di vivere".
    Abbraccione!

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  11. Sono d'accordo con te che nessuno può giudicare il preché "non si abbia le palle per reagire", mi tiro indietro e chiedo scusa. Il mio pensiero non era generico era riferito al tuo post: gli uomini sposati.
    Secondo me in quest'ottica ciò che ho detto assume una diversa connotazione.
    Il mio discorso non voleva essere un generico riferimento al caming out, il mio discorso si riferiva alla "gabbia" del matrimonio per un uomo omo.
    Liberarsi da quella gabbia, allegerirsi da un fardello troppo pesante, in quella situazione, non significa per forza fare coming out. Sul farlo o meno, come dicevi tu, ognuno ha le sue ragioni e ci mancherebbe, ma quel che volevo dire io è che da quella "gabbia" comunque si può uscire e di questo ne sono convinto. Come sono convinto che chi ha fatto quel passo pur essendo cosciente del proprio orientamento sessuale deve fare un "mea culpa" se ora vive male e soprattutto se non ha il coraggio di trovare la strada per poter stare bene.
    Non dimentichiamo poi che, chi coscientemente ha fatto quel passo, ha coinvolto a loro insaputa altre persone che magari hanno investito sentimenti veri (vedi i relativi partners).
    Non voglio che questo sembri una condanna al rogo per tutti quelli che si trovano in questa situazione, dico solo che per chi sta "morendo" a causa di questa situazione una soluzione c'è (che ripeto non necessariamente equivale al coming out).
    Le storie, le vite, le ragioni, i background sono infiniti ma penso che con onestà, rispetto e responsabilità si possa arrivare a tutto.... o meglio si possa aggiustare tutto.
    Spero di aver chiarito un po' i contorti pensieri della mia testolina....
    Cia'

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  12. @ Alberto - chiedo scusa io... riletto così e chiarito che il pensiero si riferiva unicamente al post e agli "omo sposati" tutto assume davvero una connotazione diversa e mi è più chiaro e ancor più condivisibile.
    Ecco, poi io non so (perchè per fortuna in questa situazione non mi ci trovo), cosa significhi realmente trovarsi all'interno di un matrimonio "bluff", (ma spesso si parte senza la percezione di bluffare), quali siano le forze che spingano a liberarsi da questa gabbia e quali invece a rimanerci. Potrebbe esserci d'aiuto la testimonianza di qualche lettore.
    Come ulteriore "confronto" ti rinnovo l'invito, se vuoi, alla lettura de "La lingua perduta delle gru", dove anche questo tema è ben raccontato.
    :)

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